Junio Valerio Borghese (Fonte immagine: Wikipedia, pubblico dominio)

Nel 1970 la democrazia italiana venne scossa da un terribile evento: i neofascisti, guidati da Junio Valerio Borghese, tentarono il colpo di stato, fortunatamente senza successo. Al governo c’è Emilio Colombo, succeduto a Mariano Rumor dopo le improvvise dimissioni di quest’ultimo. Solo un anno prima era esplosa la bomba in Piazza Fontana, e in Italia c’era molta paura per gli attentati di stampo fascista.

Junio Valerio Borghese

Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, detto Junio Valerio Borghese, era un militare della marina del Regno d’Italia. Di nobili origini, aveva combattuto per il regime fascista durante la Seconda Guerra Mondiale. Era sommergibilista, e aveva persino progettato un piccolo attacco a New York con un sottomarino tascabile, ma la cosa non andò mai in porto. Durante la guerra era Capitano di Fregata, e comandava la Xa Flottiglia Mas, che poi si ritirò con lui durante la Repubblica Sociale Italiana dopo l’armistizio di Mussolini. Riuscì a fuggire dai partigiani che volevano giustiziarlo insieme agli altri gerarchi del Duce. Dopo la nascita della Repubblica Italiana, nel 1951 aderì al MSI, ma lo abbandonò due anni dopo giudicandolo troppo debole. Nel 1968 fondò il Fronte Nazionale, una organizzazione neofascista. Il suo scopo era quello di inrodurre un ordine nuovo nel governo, anche tramite il rovesciamento delle istituzioni se necessario.

Il Golpe

Borghese durante il golpe (Fonte immagine: Wikipedia, pubblico dominio)

Borghese aveva architettato il piano “Tora Tora” (in onore della battaglia di Pearl Harbor) nel 1969. Il piano era semplice: lui, il generale dell’Aeronautica Giuseppe Cesaro e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio avrebbero comandato un piccolo esercito di 200 uomini della Guardia Forestale (da qui anche il nome di “golpe dei forestali”) per occupare le sedi della Rai, il Viminale, il ministero della Difesa e tutte le centrali telefoniche e telegrafiche. Assoldarono anche alcuni killer della mafia per tentare di assassinare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il Capo della Polizia Angelo Vicari. Borghese aveva anche scritto un proclama:

Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato, ha avuto luogo. La formula politica, che per un venticinquennio ci ha governato e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale, ha cessato di esistere. Nelle prossime ore vi verranno indicati i provvedimenti più immediati e idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della nazione. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi, mentre possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Soldati di terra, di mare e dell’aria, a voi affidiamo la difesa della patria e il ristabilimento dell’ordine interno“.

Tutto sembrava pronto: il 7 dicembre del 1970 i forestali marciarono verso il Viminale e verso Piazza Teulada. Ma all’improvviso Borghese in persona ordinò la ritirata immediata: tutti i mezzi smobilitarono immediatamente, e i forestali tornarono da dove erano venuti. Il perché? Nessuno lo sa. Il 17 marzo del 1971 il quotidiano Paese Sera pubblicò il titolo di un articolo “Scoperto piano di estrema destra”, e Borghese fuggì in Spagna, sotto la protezione del governo franchista, ma non prima di aver rivendicato il progetto del colpo di stato su un canale televisivo svizzero.

Le indagini

Il procuratore di Roma, Claudio Vitalone, firmò i mandati di cattura per Junio Valerio Borghese,  Remo Orlandini, Mario Rosa, Sandro Saccucci, Giuseppe Lo Vecchio e Giovanni La Rosa. Sandro Saccucci era un politico del MSI che aveva fatto parte del gruppo terroristico Ordine Nuovo, ed era stato un paracadutista della Folgore durante la Seconda Guerra Mondiale; Remo Orlandi era un costruttore edile; Mario Rosa era un ex maggiore della MVSN, la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, ed era stato comandante del III battaglione del reggimento “Cacciatori degli Appennini” durante la RSI; Giovanni la Rosa era un imprenditore. Il SID (Servizio Informazioni Difesa) aveva già il sospetto che Borghese avesse intenzione di attuare il colpo di stato, ma durante le indagini il nuovo direttore, Vito Miceli, negò di essere a conoscenza dei piani di Borghese. E così, data l’insufficienza di prove, la prima indagine venne archiviata. Nel 1972 venne aperta buna seconda inchiesta, coordinata dal generale Gianadelio Maletti e dall’agente del SID Antonio Labruna, tutti e due appartenenti al controspionaggio del SID (il cosiddetto “Ufficio D”). Maletti e Labruna scoprirono che nell’attuazione del piano vi era la complicità di Vito Miceli e di un armatore di Civitavecchia che avrebbe offerto il proprio supporto a livello navale, con l’utilizzo di navi mercantili con cui i militari di Borghese avrebbero trasportato i prigionieri.

Il processo

Gli imputati al processo: il secondo da sinistra è il colonnello Amos Spiazzi (Fonte immagine: Wikipedia, pubblico dominio)

Il 30 maggio del 1977 iniziò il processo: 48 imputati vennero rimandati a giudizio per tentato golpe. Vennero confermate 46 condanne per cospirazione contro i poteri dello stato, con pene dai 2 ai 10 anni. Vennero invece tutti assolti dall’accusa di insurrezione armata. Il giornalista Mino Pecorelli scrisse sul giornale OP che solo una piccola parte delle informazioni era stata analizzata durante l’indagine, mentre il resto era stato tenuto nascosto da membri della P2. Pecorelli venne poi assassinato nel 1979 di fronte alla redazione del suo giornale. Nel 1984 vennero assolti in appello i 46 imputati che erano stati condannati, e nel 1986 in Cassazione venne confermata l’assoluzione di tutti gli imputati.

Il golpe Borghese e la P2

Licio Gelli (Fonte immagine: Wikipedia, pubblico dominio)

Successivamente la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2 scoprì i legami tra Vito Miceli e Licio Gelli, grande capo della loggia massonica P2. Inoltre, secondo alcune testimonianze, sarebbe stato proprio Gelli a dare l’ordine agli uomini di Borghese di ritirarsi. Miceli venne poi arrestato nel 1974 durante l’inchiesta sull’organizzazione terroristica Rosa dei Venti. Anche Gianadelio Maletti e Antonio Labruna, i due agenti del SID che avevano indagato sul golpe, vennero arrestati nel 1976 con l’accusa di aver fatto evadere Giovanni Ventura, uno degli autori della strage di Piazza Fontana. Borghese non venne mai processato: morì in Spagna a Cadice, nel 1974.